Le sindromi più attuali, dal disturbo da attacchi di panico ai disturbi alimentari, risultano caratterizzate da stati mentali, ovvero cognizioni ed emozioni, non adeguatamente riconosciuti dal paziente e quindi spesso coartati, bloccati.
In particolare mi riferisco alla scarsa esplorazione di uno stato mentale, la rabbia, la quale tende ad essere ripetutamente negata dal paziente, attraverso un controllo attivo della stessa e di stati emotivi affini, con il tentativo inconsapevole di rifuggire da tutte quelle emozioni che non sono sotto lo stretto controllo del paziente stesso.
Ciò’ accade affinchè possa essere preservato e tutelato il valore di sé orientato sempre più spesso all’apparire “perfetti” e quindi scevri da tutto ciò che non è pienamente controllabile, gestibile, prevedibile o “accettabile” da un punto di vista sociale.
Se il paziente ossessivo, la cui personalità rappresenta un modello pervasivo di preoccupazione per l’ordine, perfezionismo e controllo, è la risultante “eccessiva” di un controllo esasperato e minuzioso di tutto ciò che appare incerto per non contattare la rabbia e l’ostilità, e tutte quelle sensazioni contraddittorie ed inconciliabili, il paziente con manifestazioni ansiose vive intrappolato nel perenne conflitto tra stati emotivi opposti e rappresentativi di parti di sé polarizzate, oscillando tra la tendenza a controllare massicciamente il mondo esterno e l’esserne soggiogato contemporaneamente, percependosi impotente e paralizzato davanti a stimoli esterni, come avviene nel disturbo da attacco di panico.
Attuiamo un distinguo tra il blocco della rabbia e l’inibizione della stessa.
Mentre nel primo caso avviene un’interruzione del riconoscimento di questo stato emotivo, per cui il soggetto “non avverte” a livello cosciente di essere “arrabbiato”, nel caso dell’inibizione è presente il riconoscimento ma sussiste un deficit a livello dell’espressività della rabbia.
Sul versante opposto alle problematiche derivanti da una difficoltà a riconoscere e/o a manifestare la rabbia, ritroviamo tutte quelle condizioni in cui c’è una difficoltà a contenere tale emozione. In questi casi possiamo parlare sia di rabbia “allagante” sia di rabbia “esplosiva e incontrollata”.
Le manifestazioni cliniche in cui è maggiormente presente una rabbia di tipo allagante sono quelle pertinenti ai disturbi in cui è presente uno scarso monitoraggio emotivo.
Nel disturbo antisociale, in cui la rabbia è sempre manifestata con comportamenti di acting-out, oltre all’aspetto allagante possiamo rintracciarne uno esplosivo ed incontrollato, non di rado presente anche nei disturbi sopra citati.
La rabbia ha in realtà una funzione evolutiva di straordinaria importanza.
Infatti è proprio grazie alla rabbia, intesa come dissenso, che l’essere umano riesce a costruire un’autentica relazione con se stesso. Non riuscirò a costruire un’immagine salda e integrata di me stesso, se non mi chiederò cosa mi piace, cosa desidero, cosa non mi va, ciò di cui ho bisogno e ciò che non mi alletta.
Sono i soggetti che hanno più confidenza con tale dimensione emotiva, quelli che in maniera naturale esprimono il loro dissenso, ad avere un’immagine di se stessi più rilassata e ad avere una percezione consapevole di sé.
Infatti è proprio il “no”, a far si che le persone indaghino i propri gusti, esplorino i propri desideri, giungendo così a un’idea di se stessi stabile.
Al contrario, coloro i quali, ricercando l’approvazione altrui, tendono ad accodarsi, a rispondere quasi automaticamente “si”, non attiveranno un processo di conoscenza personale adeguato, non andando ad esplorare i propri bisogni, i propri desideri, e di conseguenza, avvertiranno spesso sensazioni di inadeguatezza, riferiranno di non sentirsi a proprio agio nelle diverse situazioni, percependosi spesso incompleti e insoddisfatti.